“Ci sarà ancora l’uomo nella fabbrica del futuro?” A questa affascinante domanda ha risposto, nel corso delle fiera SPS, da Davide Guzzi, presidente di Italo Foundation. Guzzi, presentando i risultati di una ricerca che ha coinvolto mille lavoratori italiani rappresentativi della popolazione nazionale, ha illustrato il rapporto venutosi a creare con l’intelligenza artificiale. La Fondazione ritiene infatti fondamentale comprendere gli effetti sul personale prima di introdurre in un ambiente lavorativo queste soluzioni per il solo ritorno economico.
Le persone non sono pronte
In generale, come emerge dalla ricerca, le persone non sono pronte a relazionarsi con macchine intelligenti. Il 49% degli intervistati dichiara infatti che “le macchine non devono pensare, ma solo eseguire compiti ripetitivi”. Da qui la considerazione secondo cui serve una nuova figura professionale rivolta principalmente alla formazione del personale: il “digital transformation coach”.
Un’attenzione specifica è stata riservata anche si processi aziendali che, secondo gli intervistati, potrebbero migliorare se gestiti esclusivamente da macchine. La classifica vede al primo posto la sicurezza sul lavoro (36%), seguita dalla “Pianificazione Turni” (29%) e dall’analisi di mercato e dei concorrenti (28%). Agli ultimi posti si piazzano la Ricerca e selezione del personale (15%) e il Servizio post vendita (13%).
Il capo ideale? Una macchina
In generale dalla ricerca emerge che Le donne dichiarano una maggiore sensibilità al tema perché, essendo più inclini agli aspetti relazionali, temono che il rapporto diventi sempre più impersonale quindi emerge la paura di perdere quell’umanità propria dei rapporti tra persone/colleghi.
In chiave Nord vs Sud: i lavoratori del sud, dichiarano, in una percentuale quasi doppia rispetto a quelli del nord, che se potessero scegliere preferirebbero come capo una Macchina. Un risultato interessante che evidenzia una maggiore accettazione della Macchina guidata da una sostanziale sfiducia nel management umano.