Nello scenario economico e produttivo attuale è innegabile che l’utilizzo delle tecnologie digitali rappresenta una delle grandi opportunità per le aziende manifatturiere italiane. Realtà, spesso, di piccole e medie dimensioni, che hanno saputo fare dell’innovazione e della flessibilità uno dei propri punti di forza. Eppure, pur a fronte della disponibilità di soluzioni sempre più adatte a esaltare queste caratteristiche, il manifatturiero italiano sembra essere rimasto “alla finestra”. L’impressione, infatti, è quella di un approccio ancora troppo incerto alle nuove opportunità.
Cosa sta succedendo?
Una situazione che il Laboratorio sul Supply Chain & Service Management (Scsm) dell’Università degli Studi di Brescia, si è posto l’obiettivo di analizzare con l’iniziativa “Digital Manufacturing – i numeri del cambiamento tra opportunità e minacce”. Una ricerca su base nazionale, patrocinata dal Ministero dello Sviluppo Economico, con l’obiettivo di approfondire la conoscenza e l’utilizzo di sette tecnologie digitali, in grado di modificare in maniera sostanziale processi/prodotti/modelli di business: Stampa 3D & 3D Scanning, Internet delle Cose, Social Manufacturing, Realtà Aumentata, Realtà Virtuale, Intelligenza Artificiale & Robotica, Nanotecnologie & Materiali avanzati.
Lo studio si concluderà a dicembre, ma i ricercatori hanno voluto raccontare i primi risultati di un’attività che ha goduto anche dell’appoggio di Siemens Industry Software.
E i primi risultati appaiono tutt’altro che positivi, sia per la difficoltà nell’ottenere la collaborazione delle aziende stesse, sia per la scarsa propensione a utilizzare le nuove tecnologie. In particolare, come hanno evidenziato i ricercatori Andrea Bacchetti e Massimo Zanardini nel libro bianco, comprendere come utilizzare le nuove tecnologie in ambito manifatturiero assume un’importanza fondamentale alla luce del fatto che, “già nel prossimo futuro la manifattura smetterà di essere strettamente la produzione di beni materiali e si sposterà sempre di più verso una produzione di soluzioni, in cui bene materiale e servizi saranno sempre più integrati. È il ben noto concetto della “servitizzazione”, che sta investendo svariati comparti industriali, in particolare quelli caratterizzati da prodotti con elevata vita utile e valore commerciale”.
Una rivoluzione senza armi
A fronte di quella che molti analisti definisco “The Digital Manufacturing Revolution”, le aziende italiane appaiono però disarmate. Solo la stampa 3D, anche a causa della notevole presenza mediatica, viene classificata come “ben nota” dalla metà del campione intervistato. Un dato certo non incoraggiante, ma è ancora più sconfortante il fatto che l’Internet delle Cose sia conosciuto, nel mondo manifatturiero, solo da metà delle aziende. La maggior parte delle quali ammette di avere comunque una “conoscenza superficiale”. Ancora peggiori, poi, i risultati di realtà virtuale e nanotecnologie, che sono note a meno del 30% delle aziende manifatturiere. Con l’aggravante che, nella maggior parte dei casi, si tratta solo di una conoscenza superficiale.
Alla luce di questi numeri, il commento dei ricercatori è lapidario, i quali evidenziano come “la maggioranza delle imprese analizzate non stia utilizzando nessuna tecnologia (e non abbia nemmeno previsto di farlo nel breve periodo): infatti, solo il 35% delle aziende sta implementando (almeno) una delle tecnologie indagate”.
Mancano gli esperti
L’analisi del Cscm, però, non si limitata a fotografare la situazione. I ricercatori, infatti, hanno cercato di comprenderne anche ragioni. É così emerso che “le aziende coinvolte nell’indagine segnalano come elemento maggiormente ostativo alla diffusione delle tecnologie, la difficoltà nel reperire risorse competenti su questi temi”. Una carenza che, quindi, investe anche il sistema scolastico e universitario italiano, che non ha saputo interpretare e anticipare i cambiamenti del sistema produttivo.