Il Consiglio dei Ministri ha approvato lo schema di decreto attuativo che reintroduce l’obbligo di indicare in etichetta lo stabilimento di produzione o confezionamento dei generi alimentari.
Tale obbligo era già sancito dalla legge italiana, ma è stato abrogato in seguito al riordino della normativa europea in materia di etichettatura alimentare. L’Italia ha stabilito la sua reintroduzione al fine di “garantire, oltre che una corretta e completa informazione al consumatore, una migliore e immediata rintracciabilità degli alimenti da parte degli organi di controllo e, di conseguenza, una più efficace tutela della salute”.
Lo schema di decreto sarà inviato ora alle Commissioni agricoltura di Camera e Senato per i pareri. La legge di delega affida la competenza per il controllo del rispetto della norma e l’applicazione delle eventuali sanzioni all’Ispettorato repressione frodi (Icqrf). Il provvedimento prevede un periodo transitorio di 180 giorni, per lo smaltimento delle etichette già stampate, e fino a esaurimento dei prodotti etichettati prima dell’entrata in vigore del decreto ma già immessi in commercio.
“Questo provvedimento – ha commentato il Ministro Martina – si inserisce nel lavoro che stiamo portando avanti per dare massima informazione ai cittadini sugli alimenti che consumano. Per questo abbiamo voluto inserire di nuovo l’obbligo di riportare in etichetta lo stabilimento di produzione dei cibi. Diamo una risposta anche alle tantissime aziende che hanno chiesto questa norma e hanno continuato a dichiarare lo stabilimento di produzione nelle loro etichette. Il nostro lavoro non si ferma qui, porteremo avanti la nostra battaglia anche in Europa, perché l’etichettatura sia sempre più completa. La valorizzazione della distintività del nostro modello agroalimentare passa anche da qui”.
Federalimentare è critica
Una reintroduzione che non piace a Luigi Scordamaglia, presidente di Federalimentare:
“Aver abrogato l’obbligo di indicazione dello stabilimento d’origine in etichetta a livello comunitario e poi averlo reinserito con un provvedimento esclusivamente nazionale non applicabile ai prodotti alimentari fabbricati fuori Italia e mandati sugli scaffali del nostro Paese è un grosso passo indietro che penalizza i produttori italiani e inganna i nostri consumatori“.
“Come sosteniamo da sempre – prosegue Scordamaglia – queste battaglie di trasparenza più che legittime vanno vinte a Bruxelles, altrimenti un qualsiasi imprenditore tedesco o francese con una semplice ragione sociale a qualsiasi titolo nel nostro paese può spacciarsi per italiano (senza obbligo di indicare la sede di produzione) con gravi danni per tutto il nostro sistema”. “Ancora una volta assistiamo a scorciatoie nazionali che finiscono con l’assecondare l’operato di una commissione europea pavida e inadempiente e responsabile della frammentazione del mercato unico”.