A due settimane dall’uscita di Oculus Quest, il nuovo e avveniristico visore virtuale sviluppato dall’azienda acquistata da Facebook nel 2014, si può già trarre un bilancio del successo, o meglio dello scampato flop, di questo nuovo apparecchio per la realtà virtuale. Cinque milioni di dollari d’incasso al debutto non sono certo numeri da poco e in qualche maniera hanno superato le aspettative degli addetti ai lavori e soprattutto dei progettisti che temevano un buco nell’acqua, simile ai fratelli maggiori dell’ultimo gioiellino di casa Oculus (vedi Oculus Rift).
Vendite solide e un mercato che secondo gli analisti al soldo di Mark Zuckerberg dovrebbe attestarsi intorno al milione di unità vendute nel 2019 (dato confermato dal vicepresidente di FB, Andrew Bosworth). Gli sviluppatori del progetto sembrano aver imboccato la strada giusta.
Senz’altro il fatto di poter utilizzare questa tecnologia, affidandosi soltanto alle prestazioni del proprio smartphone – il nuovo visore non deve essere infatti più connesso ad un computer super prestante – e avere completa libertà di movimento (assenza totale di fili e supporti esterni), hanno senz’altro ingolosito i curiosi e i neofiti della nuova tecnologia mentre anche i “clienti” già rodati già bramano il nuovo kit virtuale per la sua versatilità.
Difficile dire il numero esatto di esemplari venduti di Oculus Quest visto che l’azienda di Menlo Park non ha voluto rilasciare statistiche ufficiali, almeno in queste prime settimane, sebbene si parli di oltre 100.000 apparecchi venduti, con almeno due titoli acquistati per utente (media di 50 dollari a gioco). Sembra che la curva ascendente nelle vendite sia stata fermata in parte, soprattutto negli States, dai sold out che diversi negozi hanno registrato nella prima settimana di uscita e anche i tempi di consegna di Amazon per la versione a 128 GB sono lunghissimi, mentre la versione a 64GB, nel mercato statunitense, è ancora sold out sul portale di vendite online.
Del resto la proposta videoludica del nuovo visore di casa Oculus promette ore di divertimento, con già oltre 50 titoli a disposizione da Beat Saber ad Angry Birds passando per l’attesissimo Vader: Immortal a Star Wars VR Series. Altre applicazione come PokerStars VR, permettono agli utenti d’immergersi nell’atmosfera di una sala da gioco professionale, tra puntate, fiches e faccia a faccia con gli altri giocatori mentre ad esempio un’app come Nature Treks VR, immerge i possessori di Oculus Quest in scampagnate all’aria aperta nei luoghi più suggestivi del pianeta tra animali selvaggi e natura incontaminata. Questa app fa il paio con Ocean Rift, dove invece è possibile nuotare negli oceani e mescolarsi con gli affascinanti ecosistemi degli abissi.
Nonostante la vasta offerta- che non comprende soltanto giochi – e nonostante gli sviluppatori stiano cercando di attrarre un pubblico sempre più vasto e variegato, la VR resta ancora un fenomeno di nicchia per non dire marginale. La stessa FB dicendosi soddisfatta dei risultati delle prime settimane di vendita, ha comunque sottolineato che ci sia ancora molta strada da fare per rendere la VR mainstream.
Quali siano i motivi del mancato decollo e più in generale i “limiti” della VR, ha provato a spiegarlo Joh Carmack, ex programmatore grande esperto di videogiochi ed estimatore di questa tecnologia.
Secondo il padre di Doom, molti giocatori sarebbero infatti legati al vecchio concetto di gioco, in quanto non avrebbero voglia di muoversi dal divano e sostanzialmente di sudare per divertirsi. Una linea di demarcazione ben visibile divide i vecchi “player” dai fanatici della VR e una delle maggiori differenze è proprio il grado di coinvolgimento nel gioco che per i primi resterebbe sostanzialmente visivo, mentale ed eventualmente emotivo mentre la seconda tipologia di giocatore vuole immergersi “anima e corpo” nel videogame, immaginandosi in una sorta di sala degli ologrammi di Star Treck. Lo stesso Carmack ha poi sottolineato come in futuro questa tecnologia sarà sempre più user-friendly e si mischierà con la realtà tanto da arrivare a prevedere possibili malori negli utenti, leggendone valori fisici ed eventuali pericolose variazioni (i primi brevetti sono già stati rilasciati).