Con lo scoppio della pandemia globale da coronavirus si fa più forte l’esigenza di ripensare i modelli organizzativi della nostra società fin dalle loro fondamenta andando nella direzione di una maggiore sostenibilità sociale, ma anche e soprattutto ambientale.
Per questo è importante già da oggi impegnarsi per mettere in campo buone pratiche che tutelino il nostro pianeta, la salute dell’uomo e di tutto l’ecosistema che lo circonda.
Occorre perciò invertire la rotta che sembra essere stata intrapresa negli ultimi decenni, dove ad esempio hanno cominciato a diffondersi sempre di più dispositivi elettronici portatili, amici sì dell’uomo ma nemici dell’ambiente dal momento che incorporano al loro interno ingenti quantitativi di batterie, costituite da metalli molto inquinanti (si va dal manganese, al litio, allo zinco, al mercurio e così via). Batterie che però potrebbero, e dovrebbero secondo la normativa europea, andare incontro ad un processo di riciclo per ottenere nuove materie prime da re-impiegare.
La Direttiva Europea relativa al trattamento di batterie e accumulatori a fine vite (2006/66) incentiva infatti lo sviluppo di processi innovativi che possano raggiungere target specifici di riciclo.
Francesco Cornaggia, Responsabile Impianto presso Seval, società leader nel trattamento di Rifiuti da Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche, ci ha parlato di una realtà in miglioramento ma dove bisogna agire ancora in maniera più incisiva. Se infatti dieci anni fa solo il 6% delle batterie usate entravano in fase di riciclaggio, nel 2018 la percentuale è salita al 43%: ciò significa che su 100 pile vendute 57 non entrano nella fase di riciclaggio. Il che si traduce nella produzione di inquinamento che prima agisce sul terreno ma che poi filtra nella falda acquifera e arriva ad intaccare animali e vegetali, di cui inevitabilmente si nutre l’uomo.
Si capisce quindi che dei dispositivi così piccoli, con i quali ciascuno di noi ha a che fare nella sua quotidianità, possono rappresentare un nemico insidioso. Si pensi, spiega Cornaggia, che una pila del peso di circa 200 grammi al mercurio ha la potenzialità di inquinare 30 milioni di litri d’acqua.
Per cercare di limitare questo problema Seval agisce sul territorio partendo da intense attività di recupero: “chi installa o vende pile deve essere in grado di raccogliere questo rifiuto all’interno della corretta filiera di riciclo”.
Dopo la raccolta della materia prima, Seval procede con una preselezione per far sì che al trattamento di riciclo arrivino solo ed effettivamente pile ed accumulatori, che vengono poi cerniti per composizione chimica per essere infine sottoposte al processo di riciclo.
“Seval riceve ogni anno tremila tonnellate di pile miste dalle quali riusciamo ad estrarre 700 tonnellate di zinco e 800 di ferro che possiamo riutilizzare come materie prime nella produzione all’interno dei nostri Comuni”.
Una storia di successo che ci insegna che impegnarsi per tutelare l’ambiente non è solo uno slogan ma qualcosa che tutti insieme possiamo fare nella nostra vita di tutti i giorni.