Da secoli l’uomo si confronta con il difficile equilibrio tra innovazione e lavoro. Infatti, benché le nuove tecnologie agevolino l’attività umana, sono spesso accusate di cancellare posti di lavoro. Un confronto che affonda la sue radici nell’antichità, quando l’introduzione degli acquedotti fece venir meno la necessità di chi faceva quotidianamente la spola tra il pozzo e la città. O quando l’uso degli aratri ridusse drasticamente il numero degli zappatori.
Lo stesso fenomeno, anche se a velocità decisamente maggiore, sta avvenendo negli ultimi anni, con l’introduzione dei robot nei processi produttivi. Un fenomeno analizzato nel recente rapporto Agi – Censis dal titolo “Uomini, robot e tasse – innovazione e impronta sociale”
Tifosi e detrattori
Una ricerca focalizzata sulla disponibilità degli italiani ad aderire ai nuovi schemi che si vanno affermando nei diversi campi di azione. Ne emerge una percezione dell’innovazione contrastante. In particolare, la gran parte delle opinioni si addensa sull’idea che le innovazioni degli ultimi vent’anni abbiano impattato positivamente sull’economia e la società italiana, determinando però anche alcuni problemi (57,9%). Un sostanziale equilibrio tra i benefici apportati e i problemi generati viene segnalato dal 20,3% degli intervistati. Completano il quadro le opinioni estreme, quelle degli “autentici tifosi” dell’innovazione, concentrati unicamente sulla sua valenza positiva (14,2%) e quelle dei “nostalgici” del passato che riescono a vedere “più problemi che benefici” nei processi innovativi (7,3%).
Innovazione e divari sociali
Ma quali sono le ripercussioni sociali di questa innovazione? Su questo tema gli italiani si dividono a metà: il 51,4% ritiene che li amplifichi, mentre il 47,8% è invece convinto che contribuisca a ridurli.
Le variabili socio-economiche influenzano notevolmente le posizioni espresse: tra i ceti sociali più bassi cresce la quota di coloro che teme un’amplificazione dei divari (66,7%).
Tendenza analoga ma più sfumata si registra nella quota di popolazione meno istruita (59,2%). All’opposto, tra i giovani e tra i ceti più agiati prevalgono opinioni orientate ad una riduzione dei divari per effetto di un abbassamento delle soglie di accesso a determinati beni e servizi. Interessante notare che analogo andamento si rileva tra gli abitanti delle città più grandi, quasi che la dimensione metropolitana si leghi ad opinioni più ottimistiche della media riguardo l’impatto dell’innovazione.
I ceti bassi hanno paura
Anche per quanto concerne le ricadute dei processi innovativi sulle opportunità di lavoro, una quota degli italiani non nasconde le proprie preoccupazioni. Il 37,8% degli intervistati (comprendente le classi d’età dai 18 e agli 80 anni) è convinto che processi di automazione sempre più spinti e pervasivi determineranno un saldo negativo di posti di lavoro. Le posizioni che sottendono le maggiori preoccupazioni sono riscontrabili, anche in questo caso, tra le famiglie di livello socio-economico più basso e tra le persone che non dispongono di titoli di studio elevati.
Al contrario, il 33,5% degli intervistati ritiene che le opportunità aumenteranno in uno scenario di nuovi lavori ancora per gran parte inesplorato. Completano il quadro coloro (il 28,5% del totale) che ritengono che i posti di lavoro nel complesso non varieranno in termini numerici. Il cambiamento riguarderà semmai il tipo di lavoro.
L’Italia è sfavorita
Quale che sia la valutazione dei processi innovativi e delle loro eventuali esternalità, la maggior parte degli italiani (57,8%) è convinta che in futuro il progresso scientifico tenderà ad imporsi là dove troverà un mercato di sbocco per le proprie applicazioni concrete. Il 41% ritiene invece che ci saranno margini per intervenire selezionando i processi a potenziale impatto negativo.
Guardando all’Italia ed alla sua capacità attuale di tenere il passo dei paesi più innovativi, si registra una notevole sfiducia. Solo il 9,8% degli italiani ritiene che il gap cumulato in passato si sia ridotto negli ultimi anni. Per contro, un 15,3% di “iper-critici” sposa la tesi che l’Italia sia sprofondando tra i paesi più arretrati d’Europa. Se queste sono le posizioni estreme, la maggior parte degli intervistati sceglie un profilo intermedio: c’è chi ritiene che il Paese faccia molta fatica pur a fronte di alcune eccellenze (44,6%) e chi pensa che certi processi siano inevitabili e che l’Italia sia un po’ al triano (29,6%).
Tassare i robot?
L’analisi ha cercato di comprendere anche quale sia la percezione rispetto all’introduzione delle tecnologie robotiche nei processi produttivi. Ne emerge che, che per un 10,0% di italiani parlare di automazione e di robotica significa proiettarsi in un libro di Isaac Asimov o tra gli androidi di Star Wars. Fantascienza.
Venendo, però, a chi possiede una maggior consapevolezza, il 40,6% si concentra sui dispositivi, in parte già oggi disponibili, che possono migliorare molto la nostra vita quotidiana, svolgendo al posto nostro compiti ritenuti faticosi o ripetitivi.
Ci sono poi coloro che focalizzano l’attenzione sulla possibile disoccupazione che verrà generata dall’applicazione massiccia della robotica nei processi produttivi (il 29,9% del totale dei rispondenti, che salgono però al 41,6% considerando la sola componente meno istruita della popolazione).
Solo il 18,7% degli italiani associa in prima istanza la robotica alla possibilità di ottimizzare i processi produttivi delle aziende aumentandone la competitività e la produzione di valore aggiunto.
La penetrazione dell’automazione e della robotica nei processi produttivi, per il 42,1% degli italiani deve essere in qualche modo regolata a fronte del fatto che, sostituendo il lavoro umano finiranno per determinare una riduzione del gettito fiscale complessivo. Viene in pratica sposata la posizione di Bill Gates, il fondatore di Microsoft, che ha di recente sostenuto che un robot dovrebbe essere tassato nella stessa misura del lavoratore che sostituisce.
Una quota sostanzialmente identica di italiani (41,6%) la pensa diversamente: l’evoluzione scientifica e tecnologia seguirà il suo corso e non ha senso pensare di introdurre meccanismi che possano arginarlo o limitarlo.
Completa il quadro delle opinioni la posizione – minoritaria – di chi ritiene invece che l’introduzione della robotica sia da incentivare come elemento di sostegno alla competitività delle imprese italiane (16,3%).