Professione: studente di Design and Engineering presso il Politecnico di Milano. Specializzazione: design del prodotto. Segni particolari: settimo classificato nel ‘3D Printing Design Quest’, concorso lanciato in rete da General Electric (GE) e GrabCAD, in collaborazione con gli esperti di strategie digitali di Undercurrent, che ha avuto come obiettivo la riprogettazione di supporti per motori di jet, avvalendosi della stampa 3D. È questo l’identikit di Andreas Anedda: eccellenza italiana che la nostra redazione ha potuto intervistare, aprendo una finestra sul mondo dei giovani che, cogliendo occasioni come questa, tentano di affermarsi nel mondo del lavoro. In un Paese come il nostro, che al momento non supporta appieno laureandi e neolaureati, è un modo per dare speranza, e le giuste motivazioni, ai talenti nostrani.
È la prima volta che partecipa a queste iniziative o ha già collaborato con altre aziende?
Ho già collaborato con diverse aziende, ed occupandomi di Design del Prodotto ho avuto la fortuna di affrontare tematiche molto diverse tra loro. Per quanto riguarda invece concorsi di questo calibro, il contest organizzato da GE rappresenta per me una prima volta, come d’altronde la progettazione indirizzata alla stampa 3D.
Per questo progetto quale software ha utilizzato? Perché questa scelta?
Il software utilizzato durante la progettazione del braccetto Bone è stato Rhinoceros, in quanto, oltre ad esserci molto affezionato, mi permetteva di integrare la modellazione classica con nuovi metodi di progettazione, ossia il mesh relaxation, attraverso Grasshopper e Kangaroo, due plug-in di modellazione parametrica per Rhino. Attraverso questi software sono riuscito ad ottenere una forma di partenza altamente ottimizzata, che ho successivamente modificato a seconda delle mie esigenze progettuali utilizzando T-Splines per Rhino, ottenendo la forma estremamente organica che caratterizza il mio progetto. Il bello di Rhino è appunto questo, che se c’è qualcosa che il programma da solo non riesce a fare esiste un mondo vastissimo di plug-in che incrementano il potenziale del software.
Quali difficoltà ha incontrato nella riprogettazione di supporti per motori di jet?
La difficoltà principale era rappresentata senza dubbio dai vincoli formali che ci erano stati imposti: i punti di ancoraggio non dovevano variare perché giustamente dovevano adattarsi al motore jet e il pezzo finale non poteva uscire dalla geometria di partenza. Questo riduceva drasticamente la possibilità di creare forme più adatte allo scopo. Inoltre i punti di ancoraggio rendevano il componente asimmetrico e di conseguenza il lavoro è stato reso più laborioso e complesso. Può sembrar strano ma rendere il braccetto funzionante ed in grado di sopportare gli sforzi non è stata la parte difficile, ci è voluta solo molta pazienza, mentre appunto rispettare i vincoli formali è stata un’impresa, soprattutto considerando la forma organica che io avevo in mente.
Quali sono stati, secondo lei, i punti di forza del suo progetto?
Avendo utilizzato una forma organica di quel genere non avevo praticamente nessun tipo di spigolo e di conseguenza lo sforzo non si concentrava in punti precisi ma riusciva a distribuirsi in maniera molto fluida ed omogenea. Inoltre avevo la possibilità di “mangiare” materiale dove avevo bisogno senza alterare la forma complessiva dell’oggetto. Ciò mi ha permesso di ottenere un buon piazzamento, anche se probabilmente, se avessi avuto qualche giorno di tempo in più, sarei riuscito a mangiarmi via altri grammi e magari i risultati sarebbero stati migliori, ma va benissimo così. Anche l’aspetto dell’oggetto è molto attraente: io credo che un pezzo di ingegneria non debba per forza essere brutto, e ho appunto cercato di dimostrare che si possono ottenere ottimi risultati pensando forme diverse e innovative.
Avendo avuto la possibilità di studiare all’estero, come valuta il livello di istruzione e formazione in Italia nel ramo ingegneristico e design?
Io ho avuto la fortuna di fare tre anni di liceo in Francia e successivamente ho vissuto sei mesi a Londra. Personalmente la mia esperienza mi dimostra che, per quanto riguarda il mio settore, il Politecnico di Milano mi ha dato un’ottima formazione. Sono perfettamente cosciente del fatto che il Politecnico rappresenta l’eccellenza a livello internazionale nel settore del Disegno Industriale, e che non fotografa il livello medio delle università italiane. Quello che però ho notato è un approccio al progetto totalmente differente: in Italia per fare in modo che il progetto di uno studente o di un giovane intraprendente diventi un prodotto ci vuole a volte un miracolo. All’estero invece “si rischia” di più e le aziende partecipano molto più direttamente alla didattica, valorizzando i progetti dei ragazzi che spesso sono di ottima fattura.
Ha dimostrato che anche nel nostro Paese abbiamo delle eccellenze per quanto riguarda i giovani. Crede che concorsi come questo lanciato da General Electric possano aiutare le aziende a scovare personalità talentuose e quindi risollevare l’economia italiana?
Senza dubbio me lo auguro! Sicuramente la GE ha portato avanti una fantastica campagna mediatica su questo concorso, e ha permesso di mettere in luce i finalisti in tutto il mondo. Una vetrina davvero molto importante per un giovane come me che cerca di entrare nel mondo del lavoro.
Quanto è importante la passione, oltre all’applicazione negli studi, per raggiungere certi risultati?
Io direi che sono fondamentali. Non esiste nessuno che sia andato lontano senza metterci una montagna d’impegno. La passione è fondamentale perché ti dà la voglia di impegnarti, di passare giorni e giorni a lavorare, è il fattore chiave che ti permette di superare te stesso e migliorare. Se c’è la passione per il proprio lavoro questo non diventa un peso ma un piacere e quindi è molto più semplice raggiungere ottimi risultati.
Come la stampa 3D sta influenzando ed influenzerà la realtà aziendale a livello mondiale? Crede che in Italia siamo allo stesso livello degli altri Paesi?
La stampa 3D sta aprendo le porte a possibilità che fino a qualche anno fa potevano sembrare fantascienza. Si ha la possibilità di testare direttamente un componente appena progettato, di avviare mini produzioni, di creare prototipi funzionanti con costi e tempi estremamente ridotti. Io aspetto con ansia il giorno in cui potrò collegare una stampante 3D al mio computer di casa e stampare un oggetto di cui ho bisogno: rivoluzionerebbe il mondo della produzione.
Oggi è ancora un settore in via di sviluppo e richiede delle conoscenze molto specifiche per essere utilizzata con successo, ma se ci si pensa un attimo, 20 anni fa le stampanti laser che ognuno di noi ha in casa erano allo stesso livello, quindi non vedo perché tra pochi anni non possa esserci anche una stampante 3D sulla mia scrivania. In Italia non siamo messi così male, anzi. Nel mio settore la stampa 3D è ormai scienza nota, e in Italia c’è un vasto movimento di “makers” che promuovono attività molto interessanti ed istruttive.