I ritardi e i rallentamenti della catena di approvvigionamento hanno fatto emergere la necessità, per le imprese italiane, di dover ripensare il magazzino. Uno studio commissionato da reichelt elektronik all’istituto di ricerca OnePoll – condotto durante il mese di gennaio 2022 su un campione di 250 decision-maker IT del settore manifatturiero italiano – ha analizzato le conseguenze dei colli di bottiglia che caratterizzano la crisi della supply chain odierna.
Se, da un lato, i risultati di una ricerca analoga condotta dall’azienda nel mese di maggio 2021 sottolineavano come il 71% delle aziende italiane intervistate fosse ottimista circa la possibilità di un miglioramento nell’arco dei dodici mesi successivi, i dati attuali mostrano un lieve peggioramento in cui solamente il 62% degli intervistati in Italia ha ancora fiducia in una possibile ripresa.
L’aumento delle scorte a magazzino
Il 51% dei rispondenti italiani al sondaggio sulla crisi della supply chain, di reichelt elektronik, evidenzia come i ritardi della supply chain abbiano avuto un forte impatto sulla loro azienda nell’ultimo anno, soprattutto in termini di fermo produzione. Mentre nel periodo gennaio-maggio 2021 le aziende avevano registrato una media di 36,8 giorni di fermo produzione a causa dei colli di bottiglia nella catena di approvvigionamento, le analisi condotte a otto mesi di distanza segnano un aumento del 20%, pari a 44,2 giorni di fermo produzione verificatisi in media durante gli ultimi dodici mesi. Ne emerge la necessità, per le aziende, di dover ripensare urgentemente la loro strategia.
Per tentare di arginare i ritardi, il 40% delle aziende partecipanti al sondaggio ha deciso di aumentare le scorte a magazzino, seppur non in modo significativo, a fronte di un 46% di aziende che avevano preso tale decisione già a maggio 2021. Ciononostante, la situazione attuale del mercato e la volatilità delle catene di approvvigionamento stanno causando rallentamenti anche nel reperimento delle scorte, in particolare di componenti o materiali critici: il 42% afferma infatti di aver riscontrato difficoltà in diverse occasioni, mentre il 41% solo occasionalmente.
Produrre localmente è la soluzione?
La scarsità di risorse rientra tra i problemi emersi anche a maggio 2021, ma i dati mostrano come la situazione sia ulteriormente peggiorata: il 36% degli intervistati italiani conferma che questo aspetto sia, al momento, una delle maggiori preoccupazioni. In particolare, il 34% teme che l’attuale crisi della supply chain possa innescare un aumento del costo dei componenti critici, come la microelettronica (32%). Il 12% dei decision-maker intervistati afferma come anche la mancanza di lavoratori qualificati sia un elemento importante da considerare e fonte di preoccupazione.
In questo contesto di crisi della supply chain, più della metà dei rispondenti (52%) ha internalizzato la produzione di alcuni prodotti; il 28%, invece, ha intenzione di ricominciare a produrre internamente alcuni prodotti. Un quinto degli intervistati (20%) afferma di non avere programmi in tal senso.
Tuttavia, non tutti i prodotti possono essere facilmente prodotti in-house, ne sono un esempio i semiconduttori. Per i rispondenti italiani, gli impianti europei potrebbero rappresentare un’alternativa attraente per limitare i ritardi dell’approvvigionamento. Per tali ragioni, l’Europa avrebbe bisogno di più sedi produttive proprie, sebbene i semiconduttori europei non siano ancora in grado di tenere il passo con quelli prodotti nell’Asia orientale, soprattutto in termini di costi.
Ma quali criteri dovrebbero soddisfare i produttori di semiconduttori europei affinché le aziende li acquistino nonostante i costi più elevati? Il 68% delle aziende italiane rispondenti al sondaggio che analizza la crisi della supply chain ritiene che l’aspetto di primaria importanza riguardi la capacità di garantire e rispettare la sicurezza delle forniture. Vi sono anche altri elementi decisionali decisivi, quali una differenza di prezzo minima (45%), una stabilità di prezzo a lungo termine (37%) e un miglior equilibrio ambientale rispetto alla concorrenza (33%).
Maggiori investimenti e promozione di tecnologie del futuro
Secondo i dati emersi dal sondaggio che studia la crisi della supply chain, condotto lo scorso maggio, per non perdere terreno rispetto al mercato globale delle tecnologie del futuro – come la produzione di semiconduttori – il 38% delle aziende giudicava positivamente il sostegno dello Stato, mentre il 37% riteneva che fossero necessari maggiori sostegni per la ricerca sulle tecnologie del futuro e la produzione di componenti essenziali. I dati attuali mostrano come questi siano aumentati rispettivamente al 53% e al 44%.
Una volta terminata la crisi della supply chain, il 60% delle aziende ritiene che tornerà in auge l’approccio Just-in-Time, almeno per quanto riguarda la maggior parte dei componenti, con la differenza che si continuerà a tenere alte le scorte a magazzino dei componenti più critici.