Ogni anno, in Italia, vanno sul mercato circa 180.000 tonnellate di imballaggi flessibili, di cui l’80% destinati a protezione, conservazione, trasporto e commercializzazione di prodotti alimentari. Gli imballaggi flessibili, composti in prevalenza da materie plastiche, sono molto usati dalla filiera alimentare, che li sceglie per il 50% dei suoi imballaggi. In termini di impatto ecologico, parliamo di un materiale molto sostenibile, visto che il 70% degli imballaggi flessibili è riciclabile, sebbene l’effettivo invio al riciclo sia condizionato da alcuni limiti legislativi e tecnologici (legati alla composizione stessa degli imballaggi flessibili, per lo più multistrato e/o multimateriale). Il tema dell’effettivo avvio a riciclo di questo materiale è di particolare rilievo per la nostra economia, sia perché gli imballaggi flessibili sono molto usati dal nostro settore agroalimentare (perché con la sua leggerezza ed efficienza permette, con poca materia prima, di garantire l’igiene del prodotto imballato, la sicurezza del consumatore e offrire le proprietà tecnologiche richieste dal mercato), sia perché l’Italia è tra i leader europei nella produzione di macchinari per la realizzazione di imballaggi flessibili e per il packaging (mercato che fattura complessivamente oltre 11 miliardi di euro).
Proprio per non disperdere una risorsa così importante come gli imballaggi flessibili e dare un contributo concreto all’ambiente, il Vicepresidente di Unione Italiana Food (Paolo Barilla), il Presidente di Giflex (Alberto Palaveri) e il Vicepresidente di UCIMA (Riccardo Cavanna), hanno firmato un Protocollo d’Intesa che sancisce una collaborazione unica nel suo genere fra le tre associazioni della filiera alimentare. L’accordo è stato siglato alla presenza del Ministro dello Sviluppo Economico Giancarlo Giorgetti e del Sottosegretario al Ministero della Transizione Ecologica, On. Vannia Gava.
Con la sigla di questo protocollo, le Associazioni si impegnano entro gennaio 2022 ad organizzare un primo tavolo di lavoro tecnico, con membri di altissimo profilo provenienti dalla filiera alimentare, per analizzare i problemi che ostacolano la sostenibilità e riciclabilità degli imballaggi flessibili ed elaborare possibili soluzioni. Al tavolo verranno invitati anche i funzionari del Ministero dello Sviluppo Economico (Mise), del Ministero della Transizione Ecologica (Mite), del Consorzio Nazionale Imballaggi (CONAI) e del Consorzio Nazionale per la Raccolta, il Riciclo e il Recupero degli imballaggi in Plastica (Corepla).
Le sinergie frutto del Protocollo d’Intesa per la filiera alimentare saranno poi alla base della costituzione di una serie di gruppi di lavoro che si occuperanno, tra le altre cose, di verificare quali interventi tecnologici possano essere operati sulle linee di produzione di packaging e su quelle confezionatrici per rendere possibile l’utilizzo di nuovi materiali e di studiare soluzioni tecnologiche per migliorare i sistemi automatici di selezione e pretrattamento dei rifiuti di imballaggi in plastica ed evitare che vengano inviati in discarica o all’incenerimento. Ipotizzando, come target di partenza, un recupero e riciclo del 50% di imballaggi flessibili raccolti, un primo obiettivo sarà quello di recuperare circa 50.000 tonnellate di materie plastiche da destinare ad una seconda vita.
Gli ostacoli alla sostenibilità nel mercato degli imballaggi flessibili
L’effettivo avvio a riciclo degli imballaggi flessibili, anche alla luce dell’ampio utilizzo che se ne fa, rappresenta una sfida che impegna tutti gli attori in campo e in particolare tre comparti che, nel complesso, sviluppano un fatturato di oltre 50 miliardi di euro: dai produttori di macchinari per la realizzazione di questo imballaggio, alle aziende produttrici di imballaggi flessibili, fino alla filiera alimentare che ne è uno dei principali utilizzatori. Sebbene il 70% degli imballaggi flessibili sia riciclabile, alcuni ostacoli tecnici – comuni anche ad altri materiali plastici – ne impediscono l’effettivo avvio a riciclo. Le tecnologie che selezionano i diversi imballaggi plastici, ad esempio, presentano limiti nel riconoscimento dei materiali di cui sono composti, sia per le dimensioni degli imballi stessi che per alcune caratteristiche, come la metallizzazione dei film. Questo fa sì che anche gli imballi 100% riciclabili non vengano di fatto riciclati: in Italia oltre il 50% dei materiali plastici (inclusi gli imballaggi flessibili) viene raccolto come Rifiuti Plastici Misti, ma non tutto può essere recuperato e di conseguenza viene inviato in discarica o all’incenerimento.
Affinché gli imballaggi flessibili possano passare da “riciclabili” a “riciclati” sarà necessario, inoltre, risolvere alcuni aspetti: in primo luogo la ricerca di mercati di sbocco alternativi alla filiera alimentare, visto che – con rare eccezioni – la legge impedisce di usare plastica riciclata negli imballaggi destinati agli alimenti. C’è poi un tema di gestione dell’imballaggio flessibile post-consumo da parte dei Comuni che, nonostante la riciclabilità, chiedono di conferire i film plastici nella frazione indifferenziata. Infine, c’è la grande questione delle tecnologie e della ricerca: trovare materiali sostitutivi o riconvertire strumenti e macchinari sono operazioni gravose dal punto di vista economico e soprattutto non sempre sono strade tecnicamente percorribili.
Secondo il Piano per l’Economia Circolare dell’Unione Europea, entro il 2025 il 50% degli imballaggi plastici dovrà essere riciclabile, mentre entro il 2030 tutti gli imballaggi sul mercato dell’UE dovranno essere riutilizzabili o riciclabili in modo economicamente sostenibile. L’accordo tra Unione Italiana Food, Giflex e UCIMA si profila, dunque, come un tentativo unico nel suo genere. Lo scopo è mettere a sistema competenze e conoscenze per il raggiungimento degli obiettivi globali ed europei di riduzione delle emissioni e diffondere soluzioni di economia circolare capaci di garantire il consolidamento di una filiera alimentare equa, sana e rispettosa dell’ambiente.
Dichiarazioni
Paolo Barilla, Vicepresidente Unione Italiana Food: “Le aziende alimentari sono da sempre impegnate a produrre alimenti buoni, sani, sicuri e accessibili, e il confezionamento è stato un aspetto fondamentale per la distribuzione del cibo su larga scala. Unione Italiana Food, con tutti i suoi Associati, è impegnata a lavorare insieme ai partner di filiera alimentare per trovare sistemi e soluzioni tecnologiche più avanzate che impattino sempre meno sull’ambiente. Il Protocollo sugli imballaggi per noi è lo strumento più efficace per raggiungere risultati significativi e riteniamo che una tassazione sui film plastici, materiali recuperabili e riutilizzabili, sia incoerente e inefficace. La sostenibilità è un obiettivo da perseguire con grandi investimenti e una valorizzazione di tutti gli attori in prima linea con il sostegno delle Istituzioni”.
Alberto Palaveri, Presidente Giflex: “Un prodotto su due in un supermercato è un packaging flessibile. E lo si realizza con poco materiale (1/6 del totale sul mercato), un alleato ideale per la lotta al Climate Change. Materiali e imballaggi di nuova generazione sono già allo studio ma il pack del futuro sarà il risultato di un lavoro di filiera alimentare e di ascolto perché la sfida è culturale ed organizzativa, non solo tecnologica.Per questo chiediamo alle Istituzioni di sedere allo stesso tavolo, per condividere una chiara definizione di sostenibilità del packaging e obiettivi realmente misurabili. Non politiche punitive o scelte di consenso ma interventi per portare valore all’intera Supply Chain. L’industria Italiana del packaging (leader nel mondo in innovazione e tecnologia) è pronta ad affrontare le sfide dell’European Green Deal se l’obiettivo a cui tendere sarà chiaro”.
Riccardo Cavanna, Vicepresidente UCIMA: “La sostenibilità è un obiettivo che viaggia su filiera lunga, dalla produzione agroalimentare alle nostre case e la filiera del packaging Made in Italy, in quanto leader mondiale e antesignana nello sviluppo di soluzioni sostenibili, ha tutte le caratteristiche per ambire a essere il motore e la guida di una trasformazione verde di materiali e tecnologie di confezionamento su scala internazionale. Tutti i più importanti players stanno lavorando al fine di fornire approcci e soluzioni sempre più sostenibili. Alcune sono già sul mercato, altre sono in fase di studio e verranno presentate tra qualche anno. Queste sono uno dei fattori che compongono un circolo di innovazione sostenibile che oltre ad essere legato alla ricerca e sviluppo della tecnologia si lega anche alla sostenibilità aziendale, alla conoscenza dei materiali, alla collaborazione con i produttori di questi e alla relazione con il cliente. Per questo UCIMA ha voluto fortemente questo accordo, per dare un’impronta comune ai diversi player della filiera alimentare”.
Giancarlo Giorgetti, Ministro dello Sviluppo Economico: “È un progetto che approccia in maniera corretta la sfida della sostenibilità ambientale delle nostre aziende e che si pone nella giusta traiettoria del Pnrr. Il Mise favorisce, in collaborazione con le università, il trasferimento tecnologico dalla ricerca alle imprese”.
Vannia Gava, Sottosegretario al Ministero della Transizione Ecologica: “Con il Protocollo d’Intesa appena firmato al Ministero dello Sviluppo Economico ci mettiamo al lavoro per mettere a disposizione delle aziende della filiera alimentare soluzioni per rendere l’imballaggio flessibile maggiormente riciclabile. Apriamo un tavolo che coinvolgerà specialisti e tecnici cui chiederemo di proporre soluzioni per innovare le linee di produzione di packaging adeguandole ai nuovi materiali sostenibili, adeguare le macchine confezionatrici dell’industria alimentare ai nuovi materiali, creare un mercato per le materie prime seconde incentivando il riciclo degli imballaggi e la circolarità dei materiali”.
Imballaggio flessibile: conosciamolo meglio
L’imballaggio flessibile è un imballo sottile, generalmente stampato, formato da film (polimeri, carta, cellulosa rigenerata, foglia di alluminio) usati da soli o in combinazione per imballaggi primari e/o secondari destinati per oltre il 90% a contenere prodotti provenienti dalla filiera alimentare, prodotti farmaceutici e per l’igiene personale, la detergenza domestica, il ”pet food”, etc.
In Europa il flessibile è l’imballo più usato nel settore alimentare (oltre il 40% delle confezioni, bevande escluse), tuttavia il suo peso rappresenta solo il 10% del peso totale degli imballi alimentari. A parità di prodotto alimentare imballato, infatti, l’imballaggio flessibile è il più leggero ed efficiente. Ciò permette con poca materia prima di garantire l’igiene del prodotto imballato, la sicurezza del consumatore e di offrire le proprietà tecnologiche richieste dal mercato (saldabilità, barriera ai gas e al vapore, resistenza termica, proprietà meccaniche etc.) che i polimeri biodegradabili e compostabili, allo stato dell’arte, non sempre riescono a garantire (usati quindi solo in minima parte). L’imballaggio flessibile, inoltre, ha dei vantaggi logistici che si trasformano in vantaggi per l’ambiente: più il packaging del prodotto è leggero e compatto, più è facile ottimizzare lo spazio di carico e ridurre le emissioni totali, a parità di quantità di merce trasportata. È stato stimato, che se si scegliesse il flessibile per tutti i prodotti confezionati sarebbe possibile ogni anno:
- ridurre di circa l’80% i materiali da imballaggio consumati;
- diminuire di 42 milioni di tonnellate le emissioni di gas serra (pari al 40% di quanto prodotto nella città di Londra nel 2016);
- risparmiare più di 270 milioni di m³ di acqua.