Il caos generale della supply chain e la carenza di materiali affliggono da tempo la vita quotidiana dell’industria italiana. Per il terzo anno consecutivo, 255 responsabili di aziende italiane di vari settori industriali sono stati intervistati in occasione della realizzazione del report sulla supply chain commissionato da Reichelt Elektronik.
Le interruzioni nella catena di approvvigionamento continuano a inquietare il 73% delle aziende industriali italiane. Meno della metà (38%) dei decisori ritiene che la situazione si stabilizzerà in futuro, mentre il 46% è convinto del contrario.
Quasi due terzi si sono dichiarati positivi sul futuro nel corso del 2021 e, per quanto riguarda il grado di resilienza della propria azienda, i partecipanti rimangono oggi fiduciosi, anche se la maggioranza (54%) concorda sul fatto che la propria impresa abbia subito perdite significative durante gli ultimi tre anni. Il 73% di questi ritiene infatti che tali perdite siano state compensate dallo sviluppo di un sistema affidabile per superare le difficoltà insite nella catena di approvvigionamento.
La soluzione risiede nel giusto mix: il just-in-time va di pari passo con l’accumulo di scorte
Quando i materiali in magazzino scarseggiano, o le consegne vengono ritardate, o ancora falliscono del tutto, la produzione nel settore manifatturiero italiano è costretta momentaneamente a fermarsi. In confronto agli anni precedenti, i risultati dell’indagine di quest’anno mostrano un discreto miglioramento:
- mentre nel 2021 è stata registrata una media di 26 giorni di fermo produzione
- e nel 2022 addirittura di 44,
- nel 2023 le aziende hanno fermato la produzione per 32 giorni.
Ciononostante, il 16% degli intervistati dichiara di non avere subito alcun fermo nonostante le complessità. Questo dimostra l‘ampio successo delle misure implementate durante gli ultimi dodici mesi.
Aumentare le scorte come contromisura ai ritardi nelle forniture appare negativo. Nel 2021, il 46% delle aziende ha adottato questa strategia, fermandosi attorno al 40% nell’anno successivo. Nel 2023 il trend conferma l’andamento osservato durante gli ultimi anni: solo il 37% delle aziende intervistate ha dichiarato di adottare questa strategia, anche se il 44% prevede di aumentare ulteriormente le scorte per componenti critici e specifici nei prossimi dodici mesi. In particolare si tratta delle aziende di produzione di componenti elettroniche (53%) e hardware (50%), automobilistiche (45%) e ingegneristiche (44%).
Circa la metà degli intervistati si è riavvicinata al concetto di approvvigionamento just-in-time durante gli ultimi dodici mesi, anche se continua a mantenere i magazzini riforniti dei componenti più importanti. I settori che continuano a fare affidamento su questa soluzione riguardano le industrie dedicate alle componenti hardware dei computer e l‘automotive, l’industria aerospaziale e manifatturiera. Il ritorno al just-in-time è una conferma dei risultati dell’indagine Reichelt condotta nel 2022, in cui più della metà delle aziende dichiarava di potersi affidare nuovamente a questo percorso strategico.
I fornitori devono essere flessibili, locali e garantire prezzi ragionevoli
Sebbene numerose difficoltà sussistano nella supply-chain, la catena di approvvigionamento di componenti e materiali è migliorata significativamente negli ultimi due anni, mentre solo il 31% riscontra ancora delle difficoltà. All’inizio del 2022, oltre l’80% dichiarava di aver affrontato questo problema durante l’anno precedente.
Ciò che tende a preoccupare maggiormente gli italiani intervistati è l’aumento dei costi energetici (per ben l’83%), ma particolarmente temuto è anche l’aumento dei prezzi dei componenti critici. Cresce anche la preoccupazione verso la carenza di lavoratori qualificati (43%), mentre diminuisce quella nei confronti delle forniture di componenti critici come la microelettronica (51%). La paura dell’inflazione subisce infine un leggero rialzo: oggi il 62% dei partecipanti la considera un fattore di rischio.
Il rapporto evidenzia anche una nuova strategia particolarmente importante per affrontare i ritardi della supply-chain al fine di costruire o mantenere la resilienza: in questo senso, un’ampia percentuale di aziende (96%) considera la diversificazione dei fornitori come una strategia fondamentale. L’industria italiana favorisce anche l’onshoring, ossia il passaggio a fornitori locali (84%) e il passaggio a fornitori che garantiscono un prezzo minore (85%). La ricerca di indipendenza dai singoli fornitori e dagli eventi che riguardano le politiche commerciali mondiali rappresenta una strategia mirata a garantire la sicurezza dell’approvvigionamento di risorse e componenti.
Alla luce degli avvenimenti globali, cresce il desiderio di indipendenza
Sebbene nel 2021 si potesse tuttavia vedere la luce in fondo al tunnel – all‘epoca della fine della pandemia da CoronaVirus – ora la situazione economica e politica in Italia e nel mondo è cambiata profondamente: i conflitti in Oriente e in Medio Oriente, assieme alla recessione e all’inflazione, sono fonti di grande preoccupazione sul fronte economico e produttivo nazionale. In particolare, il 52% degli intervistati ritiene che la guerra tra Ucraina e Russia abbia un forte impatto sul commercio globale.
Ma l’industria italiana non si lascia paralizzare dalla situazione globale o dalle nuove leggi, e continua a lavorare nella sua sfera di influenza. Il 59% delle aziende è già in grado di adattarsi alle nuove norme e agli obblighi di approvvigionamento della catena di fornitura, o quantomeno è a buon punto. Ciò è dimostrato anche dalle misure previste per il prossimo anno o dalle stesse già attuate durante l’anno scorso. A questo proposito, l‘80% delle aziende intervistate sta passando a fornitori più attenti all’ambiente, mentre il 66% si sta rivolgendo a fornitori che certificano l’aderenza alle norme sul rispetto dei diritti umani.
Oggi, il desiderio di indipendenza risulta molto forte: la maggioranza delle aziende (82%) spera in un maggiore sostegno da parte della politica per i progetti di ricerca italiani, come la produzione di semiconduttori o altri componenti essenziali, al fine di rimanere competitivi e diventare più autosufficienti. Nel 2022, solo il 52% si dichiarava favorevole, mentre nel 2021 era appena il 25% a farlo. Il 73% vorrebbe che in futuro ci fosse una maggiore specializzazione nei settori che riguardano le nuove tecnologie per essere in misura di espandere la leadership tecnologica.