Una recente indagine dell’Osservatorio Immagino di GS1 Italy dimostra che, nel mondo della GDO, il richiamo all’italianità continua a essere una delle caratteristiche più apprezzate nei prodotti alimentari. Su un campione di quasi 20mila referenze con l’etichetta caratterizzata da un richiamo all’italianità del prodotto, il packaging tricolore ha generato un aumento delle vendite del +0,7% rispetto allo scorso anno, toccando un giro d’affari che supera i 7 miliardi di euro.
L’importanza dell’italianità dei beni alimentari appare di grande rilevanza anche in correlazione all’attuale emergenza sanitaria che ha visto numerosi esponenti del mondo produttivo chiedere un sostegno del made in Italy: l’italianità dei prodotti copre infatti il 25,2% delle referenze a scaffale e incide per il 24,4% sul fatturato del largo consumo. Ma non è tutto, perché la presenza della bandiera italiana sulle confezioni rappresenta un segmento che interessa il 14,5% del giro d’affari dei prodotti nostrani e il 15% di share sulle vendite a valore. Dati positivi che, secondo gli esperti del settore dei consumi e della produzione, devono essere presi in considerazione anche nel post epidemia per rilanciare le vendite.
“Nonostante l’emergenza sanitaria abbia destabilizzato l’economia globale, siamo fortemente convinti del fatto che i beni alimentari nostrani vadano tutelati al 100% e stiamo lavorando in questa direzione, continuando a investire nella realizzazione di prodotti attenti alle nuove esigenze dei consumatori per il post epidemia – ha spiegato Federica Bigiogera, marketing manager di Vitavigor. La garanzia di italianità e la presenza del tricolore sul packaging dei prodotti saranno leve fondamentali per il successo della GDO nel post epidemia. Continuiamo a mostrare all’Europa e al mondo intero il frutto del sapere e dei valori tramandati dalla nostra famiglia, soprattutto dell’importanza del made in Italy, che ci hanno permesso di produrre 7 tonnellate di grissini al giorno, distribuiti in Italia e all’estero”.
Oltre all’importanza del tricolore sul packaging, grande risalto è dato al claim “100% italiano” che, sempre secondo la ricerca dell’Osservatorio Immagino, ha registrato una crescita del +0,4% dell’offerta e del +3,5% nel giro d’affari su base annua. Performance estremamente positive anche per i marchi Doc/Docg che coprono il 2% del fatturato del made in Italy alimentare, mettendo a segno un aumento del 3,4% rispetto al 2018. E ancora, il trend delle etichette Dop si è mantenuto stabile con un aumento dell’1,8%. Ma non è tutto, perché secondo un’indagine della Coldiretti, sempre basata sui dati dell’Osservatorio Immagino, due terzi degli italiani sarebbero disposti a pagare almeno il 20% in più rispetto al prezzo di partenza pur di garantirsi l’italianità del prodotto che devono consumare a tavola.
La rilevanza del made in Italy sull’impulso all’acquisto da parte dei consumatori è un pensiero condiviso anche da Ercole Vagnozzi, docente di Business Intelligence & Customer Relationship Management presso l’Università “Alma Mater” di Bologna: “Non esiste più una vendita di prodotti, ma esclusivamente vendita di un servizio in cui il prodotto rappresenta parte del processo che ingloba preacquisto e post acquisto. Nell’omnicanalità della vendita del servizio sul prodotto made in Italy, pertanto, la presenza della bandiera sulle confezioni ne è l’emblema essenziale perché agevola gli scambi commerciali e rappresenta il biglietto da visita primaria per l’export. La comunità virtuale del mangiare italiano nel mondo è in continua crescita, e lo sarà anche nel post crisi, generando il cosiddetto “glocalismo”. Un aspetto positivo che si contrappone ai grossi stravolgimenti del prodotto che favoriscono l’italian sounding, rappresentandone una mera imitazione. Nel futuro prossimo i produttori dovranno gestire attentamente la messa a valore di queste esperienze, determinando il vantaggio competitivo difficilmente imitabile”.