L’incertezza sul futuro dell’Ex Ilva di Taranto continua a prevalere e a suscitare questioni complesse. Anche Assofermet prende posizione e si schiera a favore del rilancio del sito siderurgico da parte del Governo. L’associazione dei distributori di acciaio sottolinea che serve inaugurare un serio progetto per salvare il processo produttivo da altoforno, che può essere mantenuto attivo rispettando pienamente la normativa ambientale. Dopo le vicende a cui si è assistito negli ultimi anni è necessario preservare il valore industriale dell’impianto, che ancora oggi alimenta una filiera strategica per l’intera economia nazionale. Salvare l’ex Ilva è fondamentale: l’impianto garantisce la produzione di acciaio di alta qualità largamente utilizzato in settori cruciali come quelli dell’automotive e dell’elettrodomestico.
Nel contesto di crisi delle Acciaierie d’Italia
La crisi dell’impianto di Acciaierie d’Italia si colloca in un momento storico particolare per la disponibilità di acciaio in Italia e nell’Unione europea. Da un lato, la produzione siderurgica è in calo: negli ultimi dieci anni non sono mai stati raggiunti i livelli del 2012, anno del sequestro dell’area a caldo dello stabilimento di Taranto. In quell’anno la quota si è assestata a 160 milioni di tonnellate di acciaio nella UE, mentre in Italia sono state prodotte 29 milioni di tonnellate. L’impianto di Taranto nel 2023 ha fornito all’industria meno di 3 milioni di tonnellate, una quota che fa riflettere se si pensa che corrisponde a meno della metà della capacità produttiva.
Paolo Sangoi, Presidente di Assofermet Acciai, mette l’accento sull’impatto della situazione attuale sul settore manifatturiero. “Per far crescere la manifattura nazionale è necessario avere a monte della filiera un’industria siderurgica primaria che la possa sostenere con la quantità di acciaio necessaria”, ha dichiarato. “Va anche ricordato che i prodotti di qualità disponibili grazie alla produzione tarantina molto spesso non sono reperibili all’interno del perimetro UE. Gli operatori si vedono quindi costretti a rivolgersi soprattutto ad acciaierie asiatiche, affrontando un problematico percorso a ostacoli per via delle restrizioni all’import che incrementano i costi”.
Necessaria la produzione da altoforno oltre a quella da economia circolare
Sono proprio queste restrizioni, e più in generale l’impatto regolatorio sulle importazioni da Paesi extra UE, a determinare uno scenario di difficoltà per la filiera siderurgica. Le misure di Salvaguardia attualmente in vigore inevitabilmente comportano una diminuzione della quantità di acciaio importato nell’Unione europea. A queste si aggiunge il CBAM, il Meccanismo di Adeguamento del Carbonio alle Frontiere, che introdurrà a partire dal 2026 una sorta di dazio doganale sui beni che provengono da territori fuori dall’Unione europea. Il risultato sarà un inevitabile aumento del costo dei prodotti siderurgici a disposizione nella UE.
In altre parole, la crisi dell’impianto di ADI si inserisce in un contesto già molto complicato per il settore dell’acciaio. Dal punto di vista normativo, è l’economia circolare a essere fortemente incentivata e a determinare le strategie politiche dell’Unione europea presenti e future. Nonostante questo, “il caso ex Ilva fa riflettere su quanto sia ancora centrale e strategica la produzione primaria da altoforno”, ha sottolineato Gianclaudio Torlizzi, Fondatore di T-Commodity. “Una crisi prolungata degli impianti di Acciaierie d’Italia potrebbe portare a una carenza strutturale di acciai piani non soltanto in Italia ma anche a livello UE. Questo dimostra quanto la produzione da economia circolare non possa essere sufficiente; le politiche ambientali dovrebbero tenere conto della rilevanza dell’altoforno”.